Intervista rilasciata a Mediastars.
Come alcuni grandi personaggi della comunicazione come Pirella o Testa hanno segnato la loro epoca con lo storytelling?
I protagonisti sono cambiati, i professionisti non hanno più quel riconoscimento professionale. Gli stili creativi si sono un po’ diluiti, mentre prima c’erano pochi protagonisti molto identificabili, oggi il campo si è allargato tantissimo. Ma sono aumentati anche i media per fare comunicazione. Mentre prima una campagna pubblicitaria era il mezzo principe per fare conoscere i creativi, oggi l’advertising soffre la concorrenza di altri protagonisti.
D’altra parte concordo sul fatto che i clienti abbiano cambiato l’approccio verso l’agenzia, quindi se prima il cliente investiva, delegava e in sostanza si fidava, oggi questo succede molto meno spesso. Advertising, corporate, packaging, web, tante le attività che si sono un po’ mescolate e questo forse a svantaggio della riconoscibilità dello stile creativo. Nel passato un art director lo riconoscevi dai suoi manifesti, oggi non riesce più ad avere questa esclusività di intervento creativo.
Come fare per mantenere alta la reputazione del brand?
Esistono alcune aziende che essendosi strutturate in tal senso riescono a monitorare la propria brand reputation autonomamente, e hanno dunque il controllo delle loro marche. Per i clienti piccoli molte volte è invece più difficile, a partire dal fatto che spesso non hanno nemmeno un brand distintivo. Sicuramente conta essere consapevoli del posizionamento della propria marca, e penso che, anche se con pochi mezzi, nel tempo saranno premiate le scelte che definiscono correttamente i propri valori.
Quali sono oggi le parole chiave del mondo della comunicazione e come ci possono guidare a esplorare nuove vie?
Il presente è tecnologia, il futuro è controllo della tecnologia, quindi bisognerà formare professionisti che sappiano interpretare i nuovi media. Bisogna comprendere il linguaggio del web, è la sfida del futuro. Nonostante tutto, nel design, se si propone qualcosa di innovativo, il cliente lo segue, il potenziale viene colto; il difficile è orientarsi in tutti questi meandri di linguaggi e possibilità tecniche.
La mia opinione riguardo i contest è che quasi sempre azzera la fiducia verso l’agenzia, si annulla quindi la vecchia prassi di incontro tra comittenza e clientela. In questo contesto credo che le agenzie debbano mirare maggiormente alla propria professionalità, infatti possiamo constatare che alcune figure sono già superate, c’è oggi confusione e poca conoscenza da parte dei clienti dei protagonisti seri presenti sulla scena, tutti vendono di tutto quindi è difficile per i clienti capire quale sia il vero professionista.
I contest hanno ragione di esistere quando la creatività dimostra scarsa capacità di interpretare e valorizzare la differenza. Ma anche quando per i clienti la differenza non serve.