Intervista Mediastars sul dibattito “Cambiare per evolversi”

Ho avuto il piacere di essere invitato ad un’intervista condotta da Mediastars sul tema “Cambiare per evolversi”. Sicuramente il dibattito è molto attuale e ho dato volentieri i miei punti di vista anche perchè mi trovo comunque coinvolto dagli epocali cambiamenti in atto.

La difficoltà di comunicare in un momento così delicato può portarci a delle scelte singolari. La risposta potrebbe essere quella di rasserenare, valorizzando il senso di protezione che i brand possono dare alla propria audience. Da qui molte imprese hanno scelto di investire sulla responsabilità sociale e sulle politiche ecosostenibili. Un’attenzione particolare allo stile di vita green sta interessando molti giovani della generazione Z, che orientano i propri consumi anche in relazione al modo in cui le aziende tendono a schierarsi per affrontare tematiche sociali di interesse comune.

Le aziende stanno richiedendo un cambiamento del proprio asset comunicativo? Con quali modalità?

La possibilità di affermare una comunicazione verso scelte ecosostenibili rimane una mera aspirazione dei grossi gruppi industriali; neanche le medie e piccole aziende però sono pronte a raccogliere la sfida delle politiche ecosostenibili. Non credo sia un problema di modalità ma piuttosto di credibilità.
Finalmente son poche le testimonianze aziendali credibili a sostegno dell’ambiente o del sociale. In effetti i grandi gruppi comunicano le loro iniziative ecosostenibili ma non sono coerenti vista la dispersione e gli sprechi che la loro grande dimensione genera per la produzione e la distribuzione dei beni da loro prodotti.
Le medie e piccole imprese non riescono da sole a sviluppare un progetto di produzione interamente ecosostenibile, non ne hanno i mezzi e le competenze. Le uniche esperienze credibili sono quelle portate avanti da gruppi di piccole realtà consorziate sul tema dell’ambiente e del sociale. Ognuno di loro riesce a gatantire una parte del ciclo di produzione completo senza cadere in contraddizione nei confronti dei valori ambientali e sociali. Questo perché, al contrario dei grossi gruppi, riescono nel loro piccolo a gestire il loro processo aziendale con uno sfruttamento mirato sia delle risorse umane che di quelle naturali. Consorziandosi, ogni azienda specializzata in un settore utile al consorzio, porta la sua esperienza ecosostenibile e insieme riescono a chiudere l’intero processo di sviluppo: produzione, confezionamento, distribuzione….

Qualcuno ha detto che l’omologazione uccide la pubblicità. Certamente, alla base della creatività ci sono personalizzazione, carattere e unicità. L’appiattimento dello spessore comunicativo a cui abbiamo assistito nel periodo del lockdown rischia di far svanire sullo sfondo la marca. Ciò che ne consegue è che per emergere con la propria comunicazione sia necessario seguire una strada non particolarmente battuta ma con panorami interessanti.

In che modo si è riuscito a comunicare in un periodo di pandemia? Che difficoltà si sono incontrate sui diversi fronti merceologici? Si può essere originali e creare interesse intorno a iniziative differenti dalla nuova consuetudine?

Ritengo che il lockdown abbia solo accentuato alcune problematiche già esistenti prima della pandemia. In effetti a causa della drammatica caduta di disponibiltà economica, molte aziende hanno semplicemente annullato gli investimenti ai progetti volti a creare personalizzazione dei loro prodotti. 

Non credo che una comunicazione distintiva dipenda solo da consistenti risorse economiche. Il problema è dovuto alle limitazioni culturali; cioè non riconoscere le competenze utili per l’affermazione della propria brand. Le aziende che non erano capaci di promuoversi efficacemente prima del covid lo sono ugualmente in questo periodo di crisi. In effetti tra i settori merceologici che non hanno visto appiattire qualitativamente la loro comunicazione ci sono quelli del lusso. Anche loro probabilmente avranno ridotto le risorse, ma quello che continuano a fare lo fanno bene, come prima della crisi.

Tendenzialmente, per la maggior parte delle aziende attive in comunicazione, il livello generale si è appiattito per carenza di professionalità. Le competenze costano e quelle capaci che riescono a farsi valere sono state accantonate, aspettando tempi migliori. Questo ha contribuito ad abbassare ulteriormente la qualità globale della comunicazione. 
Penso che comunque si possa essere originale nonostante la crisi, però non si può più disperdere gli investimenti in risorse professionali sbagliate. Il contesto generale di scarsità economica non aiuta, le aziende tendono ad affidarsi a chi garantisce la convenienza. Così, pur di accaparrarsi il cliente, le agenzie generiche si improvvisano esperte in tutti i settori della comunicazione offrendo prestazioni a prezzi stracciati. Molte le web agency che non solo promettono risultati CEO da prima pagina e milioni di like sui social, ma garantiscono anche una strabiliante corporate identity. Un altro notevole fattore di omologazione viene da Google che detta le leggi per essere recensiti dai suoi motori di ricerca. 

Tutto questo porta ad una omologazione diffusa e per riuscire a ottenere interesse, non basta pubblicare iniziative originali se poi la diversità non si percepisce. Certamente ci vuole originalità, ma è fondamentale distinguersi chiudendo bene tutti gli aspetti strategici della comunicazione, rimanendo sempre coerenti con i valori delle proprie brand; questo nella comunicazione tradizionale ma anche nelle attività online. Google permettendo!.

I social media hanno assunto un ruolo fondamentale nella vita di tutti noi, l’iper-connessione ha collegato milioni di utenti rendendo visibili immediatamente idee, opinioni e talvolta critiche. Per le aziende diventa complicato riuscire a comunicare in uno scenario così vario e ricco, rischiando di minare la propria reputazione con un semplice passo falso.

I social media hanno assunto un ruolo fondamentale nella vita di tutti noi, l’iper-connessione ha collegato milioni di utenti rendendo visibili immediatamente idee, opinioni e talvolta critiche. Per le aziende diventa complicato riuscire a comunicare in uno scenario così vario e ricco, rischiando di minare la propria reputazione con un semplice passo falso.

I social si stanno comportando come un potente amplificatore della consuetudine. In certi comparti del food per esempio, l’impressione generale delle pagine aziendali rivela marche che esprimono tutte gli stessi valori.
In effetti nel settore dei prodotti agricoli, pur se inseriti da aziende diverse, sono tantissimi i post che si somigliano, sia su Facebook che su Instagram. Qualcuno più accorto ha adottato una forma ricercata di presentazione, i contenuti però sono quasi sempre gli stessi. Nel campo degli olii d’oliva, fioriscono le immagini di piante secolari, sono innumerevoli gli scatti delle colate verdi dell’olio appena spremuto e non si contano le mani che coccolano le olive. Questo non vale solo per l’olio, molte similitudine nei post pubblicati si vedono anche nei vini, nelle birre, nei condimenti balsamici… 

I social contribuiscono in modo esponenziale a questa moltitudine d’interventi tutti allineati su una convenzione di scarsa differenziazione. Questa mancanza di personalità dipende direttamente dalla facilità con cui si può comunicare sui social. Paradossalmente queste libere e semplici modalità di condivisone annullano la maggior parte delle marche perché si confondono tra le migliaia attive sui social. Probabilmente, sfruttando le varie piattaforme ma con contenuti diversi, il fattore di somiglianza verrebbe meno enfatizzato. Al contrario, se lo stesso contenuto viene ripetuto in modo identico ovunque, l’omologazione dei propri valori viene esponenzialmente amplificata. Forse questo è il più grande errore; ripetere le stesse cose sui diversi social pensando di essere originali quando in realtà non si fa altro che diffondere la propria inconsistenza.

Tutt’altra cosa è invece catturare il pubblico con contenuti coinvolgenti; allora la forza dei social può essere sfruttata al massimo; la sua potenza di fuoco spargerà su tutti i social l’originalità della marca.
Un altro strumento che può contribuire a differenziarsi è la vecchia e cara illustrazione, mai simile e capace d’interpretare tantissime caratterizzazioni; in effetti viene sfruttata poco preferendo la fotografia o i video. Gli scatti fotografici anche se realizzati benissimo, si esprimono tutti allo stesso modo, incapaci di andare oltre la consueta riproduzione della realtà. Le innumerevoli immagini di piatti deliziosi e di bellissimi tramonti o i soliti video di testimonial imperdibili finiscono ormai per omologare tutto.

Collegandovi al sito potrete vedere numerosi progetti nel brand e packaging design